
July 4, 2014
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Confconsumatori Nazionale/
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Terminata la fase di acquisto, se non ci sono intoppi, il bene acquistato viene recapitato al domicilio del consumatore entro 30 giorni[1], a meno che il venditore non abbia concordato con il consumatore un diverso termine. In caso non venisse consegnato entro la data stabilita il consumatore può chiedere che venga “risolto” (ossia “sciolto”, eliminato) il contratto e richiedere il rimborso del prezzo eventualmente già pagato.
In genere l’indirizzo al quale il bene viene consegnato coincide con quello di residenza o domicilio dell’acquirente; esiste, però, anche la possibilità di farsi recapitare la merce presso un indirizzo diverso, presso gli uffici postali (canale SDA), in fermo deposito nei punti autorizzati (ad esempio i TNT Point) o, ancora, presso i punti “pick&pay” dove – se l’azienda lo consente – il ritiro della merce avviene dopo aver pagato in contrassegno. I beni che pervengono presso questi depositi vi restano fintanto che non vengano prelevati dal destinatario.[2]
Il più evidente vantaggio di questo metodo di consegna consiste nella possibilità di ritirare il pacco quando si è più comodi, in orari elastici e senza rischiare che il corriere non trovi in casa il destinatario (perché, ad esempio, al lavoro o fuori città) consentendo, così, una migliore gestione dei tempi.
La merce che viene consegnata è sempre coperta dalla garanzia da prodotto difettoso, che dura due anni. I consumatori che ricevono prodotti viziati, o che non corrispondono a quello che hanno ordinato, hanno diritto a chiedere la riparazione o la sostituzione gratuita e senza spese aggiunte.[4] Se ciò non fosse possibile, è comunque diritto dell’acquirente la richiesta di riduzione del prezzo o di risoluzione/annullamento del contratto.
Talvolta il venditore offre delle estensioni di garanzia che, a fronte di una piccola spesa per il consumatore, coprono il buon funzionamento del bene per un tempo superiore ai 2 anni. Tale accorgimento può rivelarsi utile soprattutto in relazione a certi tipi di beni (come quelli elettronici).
Tra i principali rischi che il consumatore teme vi è quello che la merce venga persa o danneggiata nel corso del trasporto. Prima che la Direttiva 2011/83/UE venisse recepita, infatti, il codice civile³prevedeva che il venditore si liberasse dalla responsabilità e dagli obblighi che derivano dal contratto al momento in cui la cosa venduta fosse stata affidata allo spedizioniere. La nuova normativa[5] (nell’ottica di semplificare la prassi e tutelare in modo più efficace l’acquirente) ha disposto invece che il venditore sia responsabile della merce spedita (in special modo della sua integrità) fino a quando il consumatore entri fisicamente in possesso il bene.
Se l’oggetto, dunque, arrivasse rotto il venditore sarebbe tenuto a rimborsare il prezzo corrisposto o a ridurre quest’ultimo proporzionalmente alla diminuzione di valore (sempre che il bene sia ancora utilizzabile), a patto però che la denuncia venga fatta dal consumatore entro 8 giorni dal ricevimento e con lettera raccomandata a/r indirizzata al mittente. Discorso analogo per il caso di smarrimento del bene durante il trasporto.
N.B.: In presenza di imballaggi manomessi o, comunque, ammaccati dai quali si possa anche solo immaginare che il bene all’interno possa essere danneggiato, o addirittura rotto, è buona norma:
– verificare l’integrità del contenuto davanti al postino;
– accettare con riserva la consegna,[6] apponendo tale dicitura accanto alla firma richiesta alla consegna. In questo caso, se effettivamente, aperto il pacco, la merce non fosse intatta, si dovrà fare denuncia immediatamente al venditore.
Oltre a ciò, sempre meglio ricorrere ad accorgimenti qualifarsi un video del momento di apertura dell’involucro, oppure spacchettare l’acquisto davanti a testimoni: buoni modi per procurarsi le prove che quanto diciamo corrisponde a verità!
Il consumatore si ritrova spesso a dover pagare delle “tasse” al momento della consegna: è corretto che gli vengano richieste?
Tendenzialmente sì. Quando si acquista un prodotto da un’azienda situata all’esterno dell’Unione Europea, si effettua un’operazione commerciale che prevede la sua immissione nel territorio doganale dell’Unione.
Questa operazione, per il nostro Paese, comporta dei costi che devono essere compensati.
Un primo costo deriva direttamente dalla dogana: il dazio (dovuto solo per gli acquisti superiori a € 150,00) varia a seconda del tipo di bene importato ed è calcolato in base al valore dell’oggetto dichiarato dal venditore. Da notare che per la determinazione della tassa incidono, oltre che il prezzo della merce, anche le spese di spedizione (se queste non sono indicate, ci si riferisce ad un importo presunto).
Per sapere quali dazi vengono applicati (TARIC) è possibile consultare agevolmente il sito dell’Agenzia delle Dogane in Italia.[7]
Ma non è tutto. Infatti (oltre ai dazi), sulla somma totale data dal prezzo del bene + spese di spedizione + dazio applicabile, si deve ulteriormente aggiungere il 22% di IVA (ma solo per gli acquisti il cui valore superi € 22,00).
Di solito, questi importi, si pagano in contanti direttamente al corriere o postino che consegna la merce.
Se però, al momento della ricezione del pacco, si è sprovvisti della somma necessaria le alternative sono:
1. ritirare la merce all’ufficio postale più vicino (personalmente o per delega) rispettando i tempi indicati nell’avviso che il postino rilascerà nella casella;
2. ritirare la merce giacente all’ufficio del corriere espresso, sempre attraverso le modalità indicate.
Poste Italiane,[8]di fronte agli acquisti provenienti dall’estero extra UE, ha diritto di chiedere il pagamento dei “diritti di sdoganamento” per la copertura delle spese amministrative: gli importi variano dai € 5,50 a € 11,00. Tale somma va ad aggiungersi all’importo di dazio ed IVA.[9]
[1]Art. 62 del nuovo Codice del Consumo.
[2] In genere, dopo il 5^ giorno di giacenza, si paga una tassa di qualche centesimo di euro per ogni giorno e sino al momento del ritiro. Le tariffe devono essere, però, ben specificate sul sito internet del deposito scelto (Poste Italiane-SDA, TNT Point, ecc…).
[3]Si applica la normativa generale in tema di garanzia per i beni di consumo, prevista dagli artt. 130-132 del Codice del Consumo.
[4]Art. 1510 c.c.
[5]Al nuovo art. 61 del Codice del Consumo (modificato a seguito del D. Lgs. 21/2014) è così riportato: “L’obbligazione di consegna è adempiuta mediante il trasferimento della disponibilità materiale o comunque del controllo dei beni al consumatore”, e il successivo art. 63 è stato così modificato: “Nei contratti che pongono a carico del professionista l’obbligo di provvedere alla spedizione dei beni […] il rischio […] si trasferisce al consumatore soltanto nel momento in cui quest’ultimo, o il terzo da lui designato e diverso dal vettore, entra materialmente in possesso dei beni”.
[6]Art. 1698 c.c.
[7] Per una più specifica indicazione degli indirizzi, consulta il sito del progetto: www.consumatoriduepuntozero.it
[8] Secondo quanto dispone l’art. 18 della Convenzione Postale Universale adottata nell’ultimo Congresso UPU tenutosi a Ginevra nell’anno 2008 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 174 del 28 luglio 2010, suppl. Ord. n. 169).
[9] Per approfondire: https://www.poste.it/postali/estero/tariffe_sdoganamento.shtml