Parma, 23 gennaio 2015 – «I parenti dei malati di Alzheimer non devono pagare la retta per il ricovero: le leggi regionali devono uniformarsi a quanto previsto per legge e alla pronuncia della Cassazione». Nei giorni scorsi Confconsumatori ha scritto a tutti i Presidenti delle Regioni d’Italia sollevando un problema che tocca da vicino centinaia di migliaia di famiglie. Sono, infatti, in aumento esponenziale le famiglie che si rivolgono agli sportelli di Confconsumatori perché in difficoltà con il pagamento della retta del parente affetto da Alzheimer ricoverato. «Molti hanno visto il proprio reddito calare nettamente per effetto della crisi; – spiega Francesca Arnaboldi, vicepresidente di Confconsumatori – sono disperati perché non riescono a pagare per i loro congiunti e temono di vederli dimettere dalle strutture: a casa non riuscirebbero ad assisterli perché, nella maggior parte dei casi, la malattia richiede il supporto di servizi sociosanitari».
LA CASSAZIONE – Da anni Confconsumatori si occupa del tema, in particolare dopo che la Corte di cassazione (con sentenza n. 4558 del 22 marzo 2012), ha stabilito che i malati di Alzheimer e i loro parenti non devono versare alcuna retta alle Rsa o alle Casa di cura convenzionate. «La Cassazione — chiarisce l’avvocato Giovanni Franchi, consulente legale di Confconsumatori Parma — ha ribadito che nella patologia di Alzheimer non sono scindibili le attività socioassistenziali da quelle sanitarie, per cui si tratta “di prestazioni totalmente a carico del Servizio sanitario nazionale”». Nonostante la pronuncia della Suprema Corte le leggi regionali e i regolamenti comunali continuano a prevedere la compartecipazione dei malati per la quota alberghiera.
LA LETTERA ALLE REGIONI – Per questo l’associazione ha deciso di rivolgersi a tutti i presidenti delle Regioni. Al di là delle battaglie in tribunale, che non fanno che affermare un principio chiaro, occorre sollecitare le Istituzioni, a partire dalle Regioni, affinché si uniformino a quanto statuito dalla Suprema Corte. «Lo scopo della nostra associazione non è incentivare le cause — sottolinea Francesca Arnaboldi —. Comprendiamo che anche gli enti locali devono fare i conti con risorse sempre più scarse, perciò stiamo scrivendo ai presidenti delle Regioni per provare a costruire un dialogo tra enti locali, famiglie e Rsa, in modo da garantire risposte adeguate ai bisogni dei malati e delle loro famiglie».
I PRIMI RISULTATI – Finora i legali dell’associazione hanno avviato alcune cause civili (in particolare a Parma, Trieste e Milano), mentre lo sportello di Confconsumatori Milano ha già ottenuto degli accordi stragiudiziali mediando tra famiglie, Comune e RSA. Ma non è affatto semplice. «Oggi le strutture si trovano a operare in un quadro normativo confuso, perfino contraddittorio — spiega Francesca Arnaboldi — Ci siamo attivati per trovare soluzioni in base alle esigenze delle famiglie e alla normativa applicabile. Innanzitutto, suggeriamo di chiedere aiuto ai servizi sociali del Comune di residenza, per verificare se l’ente può farsi carico dell’integrazione della retta. In alcuni casi è stato possibile raggiungere una soluzione bonaria tra le parti. Quando non ci sono alternative, consigliamo di mandare alla Rsa la lettera di recesso dall’impegno sottoscritto, in cui si comunica che nulla verrà più pagato».
Qualche struttura che ha ricevuto la lettera di sospensione dei pagamenti ha minacciato le dimissioni del malato. «Non possono farlo, perché commetterebbero il reato di abbandono di persone incapaci, perseguibile a livello penale – chiarisce Franchi – Inoltre la Cassazione richiama “il diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana”. Quindi, non è possibile alcuna rivalsa nei confronti del paziente o, se questi è deceduto, dei parenti. Inoltre, la “promessa di pagamento” sottoscritta dai familiari al momento del ricovero del congiunto è da ritenersi “nulla” perché illegittima».
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